Il disastroso risultato elettorale di RIVOLUZIONE CIVILE – un’aggregazione elettorale che si presentava con un programma estremamente avanzato sul piano della proposta politica ma costruita attraverso modalità sconclusionate e talvolta inaccettabili – non può non indurre il Partito nel suo complesso ad un’urgente e onesta analisi.
Un’attività doverosa, non fosse altro per comprendere le ragioni della confermata estromissione dal Parlamento, nel momento di picco della più importante crisi economica conosciuta nel dopoguerra – ancora una volta sotto i colpi del voto utile e del voto di protesta – di un punto di vista alternativo al socialmente mortifero sistema di austerità di cui i principali partiti (PD in testa) sono responsabili. Un percorso indispensabile per provare a costruire una reazione adeguata.
Su RIVOLUZIONE CIVILE si è abbattuta quella che si può definire la “tempesta perfetta”. L’esplosiva miscela di errori tattici e organizzativi con drammatici strafalcioni nella lettura della fase e nella costruzione di una proposta realmente capace di proporsi come utile in questa fase di crisi e massacro sociale. Il tutto nonostante la gran mole di lavoro svolta su questo piano, soprattutto da Rifondazione, che rappresentiamo per necessità di sintesi con le campagne di raccolta firme per le Leggi regionali sul lavoro e per i referendum su pensioni e lavoro.
La gestione inadeguata e prefettizia della campagna elettorale, la scelta suicida sul piano del marketing elettorale di non comunicare la natura plurale della lista per schiacciarsi su un progetto personalistico (senza perciò valorizzare sul piano sociale la candidatura di una personalità come Ingroia che è stato confinato nello “scontato ruolo” del Magistrato), le modalità demenziali, centralistiche di formazione delle liste – che hanno relegato i rappresentati voluti dal territorio in posizioni ridicole e inutilizzabili ai fini di una campagna elettorale attiva -, lo smantellamento in periodo elettorale delle strutture organizzate e di Rifondazione sono solo alcune delle défaillances gravi che si possono isolare sul piano tattico organizzativo.
Elementi che si sono inseriti, amplificandoli, negli errori di lettura della fase e di azione sul piano strategico. La sottovalutazione della degenerazione della tenuta democratica (simbolicamente rappresentata da una delle peggiori leggi elettorali dell’occidente), l’incapacità del Partito di riposizionarsi di fronte all’ulteriore recrudescenza della crisi, così da saperne dare una lettura aggiornata e costruire le scelte indispensabili per superarla e la drammatica incapacità o assenza di volontà di movimenti e organizzazioni rappresentative dei lavoratori (CGIL in testa) di promuovere e agire un grado minimo di conflitto sociale sono i più evidenti.
Senza far fronte a queste criticità, specie in un lasso di tempo così esiguo, era al limite dell’impossibile la crescita di un’esperienza come RIVOLUZIONE CIVILE, avanzata sul piano programmatico ma costruita in modo da non riuscire a comunicare il proprio antagonismo al sistema (complici alcune titubanze difficili da comprendere sul piano dei rapporti con centrosinistra e M5S).
Il risultato è stato quello di incanalare rabbia sociale e volontà di cambiamento verso il voto utile e quello di protesta.
La Federazione di Venezia ha ammonito per tempo il Partito sulla possibilità che queste criticità e questo fallimento si verificassero, purtroppo senza significativi riscontri dal livello nazionale.
Abbiamo perso, ma non dobbiamo perderci. Le nostre proposte e le nostre ragioni sono ancora in campo. Oggi è necessario ripartire dall’unico asse attorno al quale si può costruire l’alternativa: Rifondazione comunista dalla sua capacità di radicamento sociale, la rete di militanti e di circoli, senza imbrigliarla in una gabbia settaria e autoreferenziale. È indispensabile ottimizzarne il patrimonio politico/organizzativo con quello che di positivo ci lascia l’esperienza di Rivoluzione Civile in termini di relazioni e di contaminazione tra culture politiche, puntando senza ambiguità alla costruzione di uno spazio politico che dia voce alle aspirazioni di cambiamento e trasformazione della società che esistono nei territori e nei luoghi di lavoro. Riprendendo quelle progettualità a cui rifondazione guarda naturalmente e che avevamo indicato come modello alla Festa di Venezia con gli interventi dei principali esponenti del Fronte de Gauche e di Siryza.
Per far ciò riteniamo sarebbe non solo inutile ma dannosa l’eventualità di lanciare il partito nel suicidio di un congresso straordinario, l’ennesima conta di cui i compagni non sentono il bisogno, che avrebbe l’unico effetto di individuare dei capri espiatori, garantendo la riproduzione dell’apparato nazionale, senza modificarne significativamente la natura. La riedizione dell’ennesima liturgia delle correnti e degli equilibri interni che è la cosa che, al contrario va definitivamente sradicata.
Non vogliamo che “tutto cambi, affinché nulla cambi”, vogliamo costruire un modello completamente diverso di partito, fondato su un rinnovato rapporto tra il nazionale e i territori che devono essere il fulcro della nostra ripartenza.
È necessario promuovere una mobilitazione del partito dal basso, subito, con attivi provinciali e regionali aperti, che sfocino in tempi brevi in un’assemblea nazionale del partito, pubblica, aperta alle forze che sono pronte ad affrontare la prossima fase, più dura della precedente, con poche ma chiare proposte, su cui rilanciare la mobilitazione di massa.
Solo in questo modo sarà possibile dar vita ad un percorso che sfoci in una scadenza congressuale di reale cambiamento, capace di superare la logica correntizia, per traghettare il partito in una fase in cui sia possibile dar vita alla costruzione di uno spazio politico che dia rappresentanza alla sinistra di alternativa, come avviene nel resto d’Europa.