Documento approvato all’unanimità (due non partecipanti al voto) dalla Direzione nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea.
10 febbraio 2021
L’incarico conferito a Mario Draghi, accompagnato da un coro mediatico e dall’apprezzamento unanime del parlamento, è un’ulteriore puntata di un film già visto. Siamo nuovamente di fronte al disvelamento di una tendenza che la continua rissa tra i partiti tende a oscurare: la sostanziale convergenza sulle scelte strategiche tra centrodestra e centrosinistra a cui si è aggiunto il M5S. Nei momenti determinanti il bipolarismo si può sospendere e, per le scelte che incidono sul serio, si può dare l’incarico direttamente a espressioni politico-tecnocratiche del potere capitalistico sulla società. E’ dentro questo quadro che il parlamento e le forze politiche si delegittimano per propria iniziativa e con il proprio consenso. Si ricrea la stessa unanimità che si registrò sull’incarico a Monti e poi nel voto per lo stravolgimento della Costituzione con l’introduzione del pareggio di bilancio.
La governance neoliberista europea ha preso il posto della Costituzione del 1948 come riferimento delle forze politiche da tempo riunite in quello che possiamo definire arco incostituzionale. I trattati europei disegnano un progetto di società e indirizzi che sono antitetici agli obiettivi programmatici della Costituzione. Noi, per questa ragione, abbiamo sempre contrastato l’Europa dei trattati battendoci per un’Europa dei popoli, nell’ambito del gruppo parlamentare europeo Gue/Ngl (ora La Sinistra) e promuovendo il Partito della Sinistra Europea.
La fedeltà alla Nato e il legame di ferro con gli USA, in tempi di nuova guerra fredda a Cina e Russia, contribuiscono a determinare il quadro dell’operazione Draghi.
Viene innalzato a salvatore della patria il banchiere che ha enunciato in maniera chiarissima la necessità di superare il modello sociale europeo, che ha gestito le privatizzazioni, che ha condotto l’attacco alla Grecia. La biografia di Draghi è quella del neoliberismo e della finanziarizzazione che ha edificato l’attuale Unione Europea e che caratterizza l’attuale fase del capitalismo globale. Non vi è stato un solo partito in parlamento che abbia dichiarato di non gradire il conferimento dell’incarico al banchiere il cui nome non può non essere accostato al Britannia, a Goldman Sachs e al ruolo svolto nella BCE. Non un semplice esecutore ma uno dei protagonisti delle politiche economiche. Per anni la minaccia dell’arrivo della troika è stata usata per terrorizzare l’opinione pubblica e ora l’uomo simbolo della troika del periodo dell’austerity più violenta viene chiamato a guidare il governo e probabilmente tra breve alla Presidenza della Repubblica.
Il governo Draghi è pericolosamente autoritario perché, sul piano costituzionale, configura ed attua un presidenzialismo di fatto e farlocco, senza regole e contrappesi. Il presidente Mattarella ha svolto, esasperando il pericolo di un presunto “stato di guerra” e di tracollo della nazione, la funzione di sacerdote officiante del “commissario banchiere”. Nello “stato di eccezione”, del resto, si rivela il vero “sovrano”. Giunge al culmine la crisi della rappresentanza: il luogo della politica non è più quello del conflitto tra differenti concezioni del rapporto tra economia e società ma quello dell’amministrazione della società secondo gli indirizzi che vengono dal capitale. Draghi non è un “tecnico” puro, ma l’espressione della governance dell’Unione Europea, che impone l’equilibrio politico agli Stati. Draghi è, quindi, espressione della crisi della democrazia costituzionale e acceleratore della tendenza europea alla piena marginalizzazione del Parlamento (gravissima è stata, in questa direzione, la legge costituzionale sulla riduzione netta e lineare del numero dei parlamentari). Il potere decisionale diventa puro appannaggio dell’esecutivo, che concentra l’intero processo politico. E il commissariamento di fatto scatta quando di fronte alla crisi e all’ingente quantità di risorse per fronteggiarla c’è bisogno di una gestione forte da accompagnare con “riforme” per ristrutturare il capitalismo italiano.
In attesa dell’enunciazione del programma è facile immaginare che il governo non sarà la copia carbone dell’esecutivo guidato da Monti in un’altra fase. Non bisogna ingannarsi sul fatto che oggi la crisi richieda, anche dal punto di vista capitalistico, di fare debito e spesa pubblica. Le politiche neoliberiste non si traducono sempre in termini di tagli e rigore, come dimostra l’uso spregiudicato che ha fatto lo stesso Draghi del Quantitative Easing e dello spread per “sorvegliare e punire” le società europee imponendo riforme strutturali altrimenti troppo impopolari. Il profilo del candidato a Presidente del Consiglio e l’assetto della maggioranza in formazione creano le premesse per una riunificazione della borghesia per l’utilizzo delle risorse a disposizione, per l’avvio di un processo di ristrutturazione della società italiana selettivo in cui sono in gioco: il destino dello stato sociale e del sistema dei diritti.
Il risultato del “salvatore dell’euro” è stato quello di far pagare i costi della crisi alle classi popolari e di impoverire il nostro paese. E’ stata questa gestione – con le lettere e le raccomandazioni di tagliare la sanità, precarizzare il lavoro, privatizzare, riformare le pensioni, ridurre il ruolo del pubblico – che ci ha reso più fragili a fronte della pandemia e auna nuova crisi sociale e economica.
Non c’è da essere sereni neanche davanti ai discorsi sulla “distruzione creativa” del documento presentato al G30 con l’abbinamento tra “imprese zombie”, cioè tecnicamente morte, e crediti deteriorati, entrambi elementi in crescita attenzionati da UE e finanza globale. Il nesso con le PMI (le più numerose tra le “zombie”) per l’Italia è micidiale dato che l’80% della manodopera sta nelle PMI.
Emerge in questa situazione quanto il carattere antisistemico del populismo sia apparente e per molti versi falso. Partiti che hanno costruito il loro successo cavalcando la parola d’ordine “no euro” come la Lega e il M5S – che aveva già votato per Ursula von der Leyen – si convertono all’europeismo per essere legittimati nell’area di governo. Non c’è nulla di sorprendente se si considera che Orban fa parte del partito europeo della Merkel e che i referenti nazionalisti della Lega sono sostenitori del rigore. L’antifascismo e l’antirazzismo non contano più di tanto se la destra si allinea con la governance europea. Emergono anche in maniera chiara le ragioni del nostro no alla convergenza in un progetto come LeU che – come era stato facile prevedere – non poteva assumere il ruolo proprio di una sinistra che si voglia nuova e radicale.
In questo quadro bisogna dare voce a un punto di vista diverso. Oggi più che mai c’è la necessità di costruire un’opposizione sociale e politica che proponga un’alternativa di società e un programma di uscita dalla crisi fondato sul rilancio del pubblico, la democrazia, la redistribuzione della ricchezza, i diritti sociali, a partire da quelli di lavoratrici e lavoratori. La vicenda dei vaccini – con il rifiuto della Commissione Europea di impegnarsi per la messa a disposizione dei brevetti – mostra quale sia la logica del neoliberismo anche di fronte alla pandemia.
Nelle lotte e nelle mobilitazioni, come alle elezioni amministrative e regionali, lavoriamo con spirito unitario in alternativa a questo quadro politico e al partito unico delle banche e delle imprese. La nascita di una coalizione alternativa in Calabria con le candidatura di Luigi De Magistris, su cui convergono Mimmo Lucano e Carlo Tansi, rappresenta un fatto positivo in questa direzione.
Il nostro partito deve impegnare tutte le sue energie nella campagna in corso “Draghi? No, grazie” che va sviluppata in tutto il paese come prima risposta volta a rompere la narrazione dominante.
Bisogna lavorare per la più larga mobilitazione unitaria di tutta la sinistra antiliberista e anticapitalista sociale e politica. Proprio i valori dell’antifascismo e i principi della Costituzione del 1948 impongono il rifiuto della logica del partito trasversale delle banche e delle grandi imprese.
Ma quanto sta accadendo dimostra per l’ennesima volta che in Italia si pone la necessità di costruire l’alternativa di sinistra, antiliberista, ambientalista, civica.
RIFONDAZIONE COMUNISTA PROPONE QUINDI A TUTTE LE SOGGETTIVITÀ CHE CONDIVIDONO TALE URGENZA DI LAVORARE INSIEME ALLA COSTRUZIONE DI UN PERCORSO APERTO E PLURALE PER L’ALTERNATIVA SOCIALE, CULTURALE E POLITICA AI POLI E AGLI SCHIERAMENTI POLITICI ESISTENTI.