È solo un giudizio, non è oro colato. Quando arriva la scure di un voto negativo di una grande agenzia di rating, dopo il primo contraccolpo, si reagisce in genere ridimensionando ciò che è avvenuto. E aggiungendo poi che il mercato sapeva da tempo dell’imminente declassamento e lo ha già scontato nei fatti. Tutto vero, anche ora, quando a colpire duro mezza Europa, con l’Italia retrocessa in serie B, è stata Standard & Poor’s. E quando c’è da aspettarsi che tutti i Paesi del Vecchio Continente facciano muro per neutralizzare quello che è apparso un attacco politico e ingiustificato. Ma non lo è completamente. Innanzitutto perché il giudizio di S&P; potrebbe non risultare isolato ma potrebbe a breve essere seguito da analoghe iniziative da parte delle altre due agenzie di rating internazionali Fitch e Moody’s. E allora sarebbe più complicato evitare scossoni. E poi perché ci sono normative che — in attesa di interventi di modifica da parte dei regolatori, delle Autorità monetarie e dei governi — richiedono e considerano i rating. Senza contare che in ultima analisi gli investitori si comportano come credono. Certo se si guarda alla reazione dei mercati, sull’Europa pende un pericolo ben più grave dei cattivi voti di S&P;: il possibile default della Grecia dopo lo stop delle trattative sul coinvolgimento dei creditori privati che hanno in mano bond ellenici per 206 miliardi di euro. Il cattivo voto dell’Italia — BBB+ — va considerato in questo più ampio scenario europeo perché la tenuta del nostro Paese significa la tenuta dell’intera costruzione unitaria. Ma ci potranno essere conseguenze specifiche e immediate, per i conti pubblici, per il credito e le assicurazioni soprattutto se dopo quella di S&P; ci saranno altre bocciature.